29 settembre 1944, 00:00

L'immane strage di Monte Sole

Reparti dell'esercito tedesco e delle SS compiono una grande strage di civili intorno a Monte Sole, nel territorio dei comuni di Marzabotto, Grizzana e Vado di Monzuno.

Dal 12 agosto la 16a Divisione Panzergrenadier “Reichsfurer SS” del generale Max Simon ha risalito la penisola attraverso la Versilia e la Lunigiana, effettuando rappresaglie, rastrellamenti, eccidi.

A fine settembre è arrivata nell'Appennino bolognese, ai piedi dell'acrocoro di Monte Sole, area strategica di retrovia della linea di difesa tedesca e luogo ideale per ritardare o arrestare l'avanzata nemica.

Qui opera la brigata partigiana Stella Rossa, guidata da Mario Musolesi, detto il Lupo, che nei mesi precedenti ha effettuato continui attacchi ai treni e ai mezzi tedeschi in transito verso il fronte.

Nelle cascine e nei villaggi sparsi sulla montagna si sono rifugiati, sentendosi protetti dai "ribelli", molti abitanti delle borgate delle valli del Setta e del Reno, percosse dai bombardamenti alleati.

Per tre giorni, a partire dal 29 settembre, le truppe al comando del maggiore Walter Reder - in particolare il reparto esploratori Panzer Aufklarungs-Abteilung della 16a Divisione SS (SS AA 16) - accerchiano l'acrocoro e compiono una terribile rappresaglia.

E' attuato “un attacco concentrico, accuratamente pianificato a freddo, condotto entro un preciso perimetro, senza riguardi nei confronti della popolazione”, per fare terra bruciata dell'habitat della Brigata Stella Rossa con i metodi della guerra di sterminio già usati nell'Est europeo.

Quasi ovunque “l'operazione ha una netta impronta eliminazionista” (Pezzino) e coinvolge deliberatamente gli abitanti più indifesi.

Nella loro opera di sterminio i soldati tedeschi sono coadiuvati da fascisti locali in funzione di delatori e guide. Vestiti con la divisa mimetica delle SS, saranno talvolta riconosciuti dai superstiti per l’uso del dialetto emiliano.

In poche ore vengono barbaramente uccise 776 persone in 115 diverse località: tra esse 216 bambini fino a 12 anni, 316 donne, 142 anziani sopra i 60 anni. Tra le vittime vi sono anche cinque sacerdoti, che seguono con coraggio la triste sorte delle loro comunità parrocchiali.

A San Giovanni di Sotto sono massacrate 52 persone. I soldati entrano nel villaggio “dispiegandosi a tenaglia, sloggiando dalle case e dalle stalle gli occupanti e ammassandoli sullo sfondo della concimaia”. Con le mitragliatrici falciano prima i bambini e poi gli adulti e gli anziani. Fra le vittime c'è Maria Fiori - Suor Ciclamino - delle Maestre Pie.

A Caprara, antico borgo fortificato e capoluogo del comune prima del suo trasferimento a Marzabotto, 62 tra donne e bambini sono rinchiusi in una casa e uccisi con lanci di bombe a mano. All'edificio viene poi dato fuoco.

A Casaglia 92 civili rifugiati nella chiesa sono falciati con la mitraglia nel vicino cimitero, dopo l'esecuzione del giovane parroco don Ubaldo Marchioni, al quale viene troncato un piede e poi viene bruciato.

A San Martino di Caprara, al centro dell'area del rastrellamento, c'è una bella chiesa plebanale e arcipretale fin dal XVII secolo, “inclusa nell'elenco degli edifici monumentali di Bologna”. In questa località 54 civili sono fucilati in un'aia e bruciati.

A Cerpiano 43 persone, bambini, donne e due uomini anziani, sono uccisi con le bombe a mano nell'“angusto spazio murato” di un oratorio. Gli ordigni sono gettati a più riprese e a distanza di tempo. Sotto i cadaveri rimangono vivi due bambini e una maestra orsolina, Antonietta Benni, che in un memoriale descriverà il massacro.

A Cadotto, uno dei pochi luoghi in cui si combatte sono trucidate 44 persone e 15-20 abitazioni vengono date alle fiamme. Qui muore il comandante della Stella Rossa Mario Musolesi (Lupo), mentre tenta di sfuggire all'accerchiamento nemico, assieme ai partigiani Gastone Rossi e Gino Gamberini.

A Creda 79 tra vecchi, donne e bambini sono uccisi in una rimessa, con le raffiche di una mitragliatrice piazzata su un carro agricolo.

Il 1° ottobre 45 persone sono fucilate e gettate nella botte della canapiera di Pioppe di Salvaro, compresi i sacerdoti don Elia Comini e Padre Capelli. Sono solo alcuni degli episodi principali.

Pochi giorni più tardi sarà giustiziato con un colpo a bruciapelo, assieme alla sorella maestra, anche il prete titolare della nuova parrocchia di Quercia-Murazze-S. Nicolò don Ferdinando Casagrande, che con il suo carattere affabile e la sua sportività aveva portato “una ventata di freschezza nelle comunità parrocchiali di Monte Sole” (Zanini).

La filosofia dei reparti tedeschi era quella di distruggere e incendiare tutto per lasciarsi alle spalle una terra di nessuno. Furono uccisi anche gli animali da cortile” (L. Baldissara).

La brigata Stella Rossa viene sgominata, ma un buon numero di partigiani riesce ad evitare l'accerchiamento e a raggiungere gli Alleati o altre formazioni presenti in Appennino.

Una parte della storiografia e della pubblica opinione addosserà al comportamento dei partigiani la maggiore responsabilità della strage di Monte Sole e delle rappresaglie nazifasciste nelle valli del Setta e del Reno.

Molto esplicita è questa testimonianza riportata da don Dario Zanini:

“I partigiani sono stati la causa di tutti i disastri. Prima hanno rovinato le famiglie, facendo razzia di quanto trovavano nelle case. E dopo aver messo nei pasticci la povera gente, stuzzicando l'ira dei tedeschi, anziché combattere fronte a fronte e difendere le donne e i bambini, li hanno lasciati alla carneficina e se la son data a gambe”.

Nel suo diario don Amedeo Girotti, parroco di Montasico, apparirà invece dubbioso sul ruolo decisivo dei "ribelli":

"Oggi verso sera le case e stalle di Sperticano erano in fiamme. Sempre colpa dei partigiani ed io non ho mai sentito dire che a Sperticano ci siano stati dei partigiani".

Studi successivi metteranno piuttosto in risalto l'interesse strategico dell'esercito tedesco in ritirata dai capisaldi più avanzati della Linea Gotica e la componente stragista motivata dall'ideologia nazista.

Secondo Luca Baldissara e Paolo Pezzino l'eccidio di Monte Sole

“non fu il frutto di una ferocia gratuita o dell'irresponsabilità di qualche brigata partigiana. Al pari di quella di Sant'Anna di Stazzema e di altre stragi nazifasciste fu, invece, un capitolo della guerra antipartigiana in Italia, strategicamente condotta dagli alti comandi tedeschi attraverso la formulazione di un coerente sistema di ordini teso alla devastazione del territorio e dell'habitat della guerriglia, reso possibile nella sua forma terroristica e assassina dal "di più" di violenza legittimato dall'ideologia nazista, applicato sul campo e reso militarmente operativo da molti reparti, sia della Wehrmacht che delle SS e di altre unità di élite”.

Secondo L. Klinkhammer gli eccidi dell'esercito tedesco vennero attuati in modi diversi, a seconda dei diversi comandanti. A Monte Sole il modello fu quello della “carneficina incontrollata, usando tutte le armi disponibili sul momento”.

Come a Sant'Anna di Stazzema o al Padule di Fucecchio esso aveva come fine “lo sterminio dell'intera popolazione, senza distinzione tra uomini, donne, vecchi e bambini”.

Don Giuseppe Dossetti parlerà di “delitti castali”, consumati dagli autori, educati alla dottrina del Mein Kampf hitleriano, “come vero e proprio dovere-missione, come servizio del proprio dio, anzi come ispirazione e impulso irresistibile proveniente da esso”.

Per lo storico militare tedesco Gerhard Schreiber “Marzabotto simboleggia il dolore e la violenza, e in tale episodio si manifesta con particolare efferatezza quale disprezzo nutrissero i tedeschi per la vita degli italiani”.

L' “operazione di annientamento” della Wehrmacht e delle Waffen SS sarà considerata da Kesselring un' “impresa piena di successi” e verrà citata dal comando tedesco come modello di guerra anti partigiana.

Ancora nel 2002, poco prima della morte, il caporale Mayer, tra i responsabili del massacro di Cerpiano, dirà che a Monte Sole si era trattato di eliminare dei “sinistri bacilli”, che colpivano a tradimento i soldati tedeschi.

L'11 ottobre 1944, un articolo del "Resto del Carlino", diretto da Giorgio Pini, definirà Voci inconsistenti le allarmanti notizie provenienti da Marzabotto.

Il Capo della provincia Dino Fantozzi preferirà dar credito al console tedesco barone von Halem piuttosto che al segretario del comune di Marzabotto, che il 2 ottobre è andato da lui a riferire sulla strage e ha affermato piangendo: “Eccellenza, li hanno uccisi tutti, donne, uomini, ragazzi, vecchi”.

Von Halem ammetterà la soppressione di circa 700 “ribelli”, ma escluderà rappresaglie contro gli abitanti. “Per cui è da ritenersi - concluderà Fantozzi - che le dichiarazione fattemi dal Segretario Comunale di Marzabotto siano esagerate”.

La zona di Monte Sole sarà attaccata dalle truppe sudafricane dal 9 dicembre 1944 con poco successo. Verrà creata una terra di nessuno tra i due eserciti e tutti i civili saranno evacuati.

Nel settore occupato dagli Alleati oltre duemila persone saranno inviate a Roma e internate a Cinecittà, mentre i superstiti del massacro di settembre saranno spinti dai Tedeschi verso Bologna. Alcune famiglie verranno ospitate a Bazzano, nell'asilo delle Minime dell'Addolorata.

Al ritorno a Casaglia nel maggio del 1945 il parroco di Montorio lascerà testimonianza della desolazione trovata:

“Sembra di passare per la terra dei morti. Tutto è diroccato, tutto è distrutto: case, poderi, terreno, e la chiesa, canonica, campanile non sono che un ammasso di rovine, da non conoscere più dove erano”.

Le mine disseminate dai tedeschi in ritirata continueranno a uccidere, fino al 1966, altre 55 persone. Nel 1951 il paese di Caprara sopra Panico, già sede comunale, sarà dichiarato "nucleo abitato scomparso".