Baccanti di Euripide a Villa Aldini con Archiviozeta

Bologna Estate racconta ##2 - Intervista a Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti 

“Dioniso è tutto ciò che può succedere ad una città che rimuove da se stessa la natura, il rapporto con la natura e l’irrazionale. Quello che salta agli occhi è che la storia che stiamo raccontando, una storia che sembrerebbe antichissima e lontana da noi, in realtà ci riguarda molto da vicino”.

La storia che Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, direttori artistici e registi della compagnia Archiviozeta, stanno portando in scena a Villa Aldini per Bologna Estate è l’ultima tragedia di Euripide: Baccanti

Insieme ad un affiatato gruppo di giovani attrici e attori e nell’ambito di inosservanza, progetto di residenza artistica e riqualificazione urbana nato in collaborazione con il Comune di Bologna, sono andati alla scoperta di un capolavoro del teatro antico, cercando di rileggere la tragedia con occhi nuovi. Ma non solo, lo spettacolo è anche un viaggio itinerante nei diversi luoghi del parco di Villa Aldini, che mette al centro le domande cruciali del nostro tempo.

Li abbiamo raggiunti per farci raccontare qualcosa di più sul progetto.

 

Enrica e Gianluca, cos’è Inosservanza e come si è sviluppato dal 2021 ad oggi?

Inosservanza è un progetto di rigenerazione urbana e residenza artistica a Villa Aldini. Quando nel 2019 ci siamo ritrovati orfani del Cimitero Militare Gemanico del Passo della Futa perché dalla Germania era arrivato un divieto agli spettacoli a causa del Covid, abbiamo scritto una lettera pubblica. Il Comune di Bologna ha risposto a questo appello e ci ha proposto Villa Aldini, dove avevamo già fatto un’esperienza nel 2015. Nel 2020 quindi siamo tornati non solo con l’idea di fare uno spettacolo ma di recuperare innanzitutto l’ambiente dopo anni di semiabbandono. Lentamente, anche insieme a Fondazione Villa Ghigi, abbiamo messo in atto una serie di operazioni di recupero e abbiamo organizzato una stagione di incontri, dibattiti, laboratori, presentazioni di libri, spettacoli e concerti. L’anno scorso abbiamo ripetuto l’esperienza e ora siamo al terzo anno, in attesa che partano i lavori di ristrutturazione della Villa, previsti per l’autunno nell’ambito di un progetto complessivo dell’area finanziato con fondi PNNR.

Un progetto che ha fatto diventare Villa Aldini un luogo di osservazione della città, uno spazio naturale e culturale per riflettere su un mondo in trasformazione e sull’ambiente. In che modo avete fatto dialogare l’arte con la riqualificazione urbana?

Villa Aldini non è un parco pubblico cittadino ma un luogo molto delicato costituito da un’area verde e da una villa in attesa di ristrutturazione. È un luogo anche storicamente importante perché al suo interno è presente la Chiesa della Rotonda della Madonna del Monte, che conserva affreschi tra i più antichi di Bologna. Tutta la struttura e il verde che la circonda è un incredibile agglomerato di ambiente e cultura, ma anche un incredibile incubatore di arte e di residenze artistiche, luogo di lettura e molte altre attività che necessitano di cura e di un luogo protetto, anche se il nostro obiettivo rimane quello di aprirlo il più possibile alla città, anche per coloro che vogliono semplicemente fare una passeggiata o ammirare il panorama. Noi non facciamo un vero e proprio festival di eventi culturali di portata enorme ma ci rivolgiamo sempre ad un pubblico molto piccolo, non installiamo palchi né altre strutture rispetto a ciò che la Villa, la rotonda e il parco offrono. Lavoriamo molto con i giardinieri e con Fondazione Villa Ghigi per creare dei percorsi e consentire alle persone di scendere nel bosco, avere a disposizione panchine dove leggere, poter ascoltare concerti in acustica o venire a vedere il nostro spettacolo itinerante. L’idea quindi è quella di un presidio culturale agganciato ad un’attività intensa che protegge gli artisti e le loro opere.

Per la prima volta avete scelto di affrontare una tragedia di Euripide: Baccanti. Perché è così attuale ancora oggi? 

Baccanti è l’ultima tragedia di Euripide giunta fino a noi e mette in scena il Dio del teatro, quindi il teatro stesso. È attuale perché questa sorta di rivolta della natura contro l’opera nefasta dell’uomo che cerca di deviare i fiumi e l’ambiente che abbiamo vissuto in queste ultime settimane, è raccontata proprio in questo mito.

Avete guidato un gruppo di giovani attrici e attori alla scoperta di uno dei testi principali del teatro antico. Quale la sfida e quali le difficoltà nel provare a rileggere la tragedia con nuovi occhi?

La prima sfida è quella di avere una compagnia molto nutrita, che per il teatro italiano è una rarità. Siamo in sette in scena, a cui si somma lo staff, e per una compagnia indipendente come la nostra, sostenuta a livello comunale e regionale ma non ministeriale, è un grande investimento etico, morale, economico. Crediamo quindi innanzitutto nella possibilità di portare avanti un lavoro di compagnia. In secondo luogo portare in scena uno dei testi fondamentali della cultura greca è stato un volersi riappropriare delle origini per tornare ad un pensiero, così contemporaneo ma al tempo stesso antichissimo, che è quello del rapporto dell’essere umano con l’altro da sé, con il suo eccesso, con il rischio che abbiamo anche noi di eccedere continuamente nei confronti di noi stessi, degli altri, della natura, del pianeta e degli altri esseri viventi. Ed è proprio questo eccesso che rischia continuamente di portarci alla distruzione, un equilibrio quindi estremamente precario che abbiamo tra il piacere e l’orrore

Avete cercato di abbattere immagini stereotipate. Quali sono secondo voi e in che modo avete fatto emergere nuove strade di riflessione?

Volevamo che lo spettatore non si trovasse di fronte a qualcosa che ha già nella sua mente come immaginario, quindi ad una visione orgiastica che fa anche riferimento ad alcuni immaginari cinematografici del mito delle baccanti e di Dioniso. Volevamo piuttosto che questa messa in scena parlasse in modo nuovo. Abbiamo scelto quindi di orientarci verso l’India e la sua cultura, così distante da noi ma ancora viva, andando alla ricerca attraverso il Bharatanatyam di una comunanza tra il mito di Dioniso e il mito di Shiva. Attraverso questo viaggio mistico alla ricerca delle origini ci sembra di esserci avvicinati al senso profondo di questa tragedia, che è quella dell’accogliere un Dio straniero, un Dio totalmente altro.

Avete esplorato la cultura indiana guidati da Giuditta De Concini, insegnante di danza indiana Bharatanatyam, mentre la partitura musicale, eseguita dal vivo, è stata pensata con Patrizio Barontini. Come avete lavorato insieme?

Patrizio Barontini lavora insieme a noi da vent’anni alla composizione dei materiali sonori, dalle musiche alla costruzione dell’impianto sonoro che conduce lo spettatore e accompagna la performance, ed è quindi parte di Archivio Zeta. Insieme a lui siamo partiti dalla lettura del testo e questo ci ha portati verso sonorità della cultura indiana ma anche verso l’eccesso sonoro. Uno dei momenti più importanti è quello in cui Dioniso si arrabbia con Penteo e decide di scatenare un terremoto, per poi entrare dentro la sonorità dei vari ambienti che ospitano lo spettacolo itinerante. Quella con Giuditta invece è una nuova collaborazione e insieme a lei ci siamo addentrati principalmente nel linguaggio dei mudra, ovvero delle mani e del corpo, che Bharatanatyam utilizza come un vero e proprio linguaggio. Ogni gesto ha una codifica e nello spettacolo gli attori e le attrici oltre a parlare parlano proprio con il corpo. Un lavoro molto lungo che ha consentito a tutti noi di immergerci in questa cultura e filosofia. Queste due collaborazioni hanno fatto sì che il nostro lavoro di regia e di interpretazione fossero parte integrante, così come noi concepiamo tutti i nostri lavori.

Dioniso è il Dio del teatro. Qual è, secondo voi, il ruolo del teatro e quali riflessioni volevate far emergere?

Il ruolo del teatro nella nostra società è molto scarso, abbiamo un rapporto abitudinario o nullo, quindi i nostri tentativi di fare teatro cercano di rompere una consuetudine e di suscitare un nuovo interesse, anche trovando spazi non convenzionali. Ambientiamo i nostri spettacoli quasi fossero set cinematografici, facendo assistere il pubblico ad un film che non verrà mai girato e che poi saranno loro a montare nella loro immaginazione. 

Baccanti non è solo uno spettacolo, ma è anche un viaggio nei diversi luoghi del parco di Villa Aldini. Dove ci avete portato e come avete legato la tragedia che avete portato in scena allo spazio?

Sembra che Baccanti sia stato scritto apposta per Villa Aldini. Il testo parte sulla tomba della madre di Dioniso, all’interno di un cerchio sacro, che per noi è la Rotonda della Madonna del Monte. Poi portiamo il pubblico davanti alla Villa, ovvero Tebe e il palazzo di Penteo, il luogo che rappresenta la città e il potere, di cui Dioniso cerca di appropriarsi. Li arriva alla sfida con Penteo, che rifiuta di attribuirgli un valore e un potere. Lo scontro fortissimo tra i due porta Dioniso a scatenare un terremoto e a convincere Penteo a venire di persona sul monte Citerone, quindi noi porteremo non solo Penteo ma tutto il pubblico nel bosco dove nel corso dell’inverno era caduto un albero. Abbiamo immaginato, anche con l’aiuto dei giardinieri di Villa Ghigi, un luogo molto appartato all’interno del bosco dove far avvenire la scena finale dello spettacolo.  

 

Silvia Santachiara, per Bologna Estate