La libertà è difficile e fa soffrire: la vita di Roberto Roversi
Roberto Roversi è una delle anime intellettuali più vive della Bologna del '900.
Lucio Dalla, con il quale collabora ai tre album che più determineranno la crescita artistica del cantautore, lo definisce un uomo straordinario, innamorato della vita e devoto alla sacralità della figura umana, in ogni sua forma.
Nato il 28 gennaio 1923 da una famiglia originaria di Pieve di Cento, nella campagna della città metropolitana di Bologna, assiste al cambiamento epocale che sta avvenendo nella società italiana degli anni '50, gli anni del boom economico e della ricostruzione.
Osserva in particolar modo l’abbandono delle campagne e la fine della civiltà contadina. A questa, dedica una parte importante dei sui testi poetici del periodo.
I suoi primi componimenti (le raccolte “Rime” e “Poesie”) risalgono agli anni del Liceo Ginnasio Luigi Galvani, dove conosce Pier Paolo Pasolini, appena più grande: un'amicizia nata dal confronto, dalla ricerca e dallo scambio reciproco che si consoliderà negli anni del dopoguerra.
Partecipa alla seconda guerra mondiale, dapprima con gli alpini della Monterosa in Germania per l’addestramento; poi, trasferitosi in Piemonte, abbraccia la Resistenza partigiana.
L'impegno partigiano per Roversi non sarà solo parte del periodo bellico, ma una sensibilità costante e perdurante nel tempo. Roversi diventa un “poeta civile”, e ogni espressione della sua vita culturale sarà d’ora in poi politica.
Nel 1948 si sposa con Elena Marcone e con lei fonda la Libreria Antiquaria Palmaverde, che diverrà un punto di riferimento culturale ed intellettuale fondamentale per Bologna, pur essendo contraddistinta dalla discrezione a cui Roversi è legato: ogni sua sede, da via Rizzoli a via Caduti di Cefalonia, da via Castiglione a via de’ Poeti, sarà “un buco nel portico”, come l'ha definita lo scrittore Stefano Benni.
Fonda nel 1955, con Pier Paolo Pasolini e Francesco Leonetti, la rivista “Officina” con l'intento di dare corpo alle inquietudini interiori e con una volontà di ricerca letteraria attraverso una nuova analisi del novecento, per ridisegnarne la mappa oltre la visione ufficialmente accettata. Con la successiva rivista “Rendiconti” (nata nel 1961), Roversi affronta nuovi problemi e linguaggi, legati alla politica ed al contrasto sociale, sempre in contraddizione con l’ufficialità.
Dalla metà degli anni Sessanta fino alla fine della sua vita non ha mai partecipato a presentazioni o incontri pubblici né su suoi lavori né su quelli di altri; non ha mai più pubblicato con le grandi major del libro, ma ha diffuso i suoi testi autoproducendoli o affidandoli alle cure di piccoli e battaglieri editori.
L'inizio della collaborazione con Lucio Dalla sarà determinante per aprire nuovi orizzonti alla creatività del cantautore. Spinto a questa sperimentazione dal produttore Renzo Cremonini, tra il 1972 e il 1975 Dalla realizza con Roversi tre album che lo costringeranno ad evolvere il proprio stile e lo prepareranno a divenire un autore completo.
Lo dimostrerà con l'esordio alla scrittura dei testi nell'album “Com'è profondo il mare”, del 1977.
I tre album sono “Il giorno aveva cinque teste”, “Anidride solforosa” e “Automobili”, parzialmente censurato, ai quali si affiancano inediti pubblicati solo postumi nella raccolta “Nevica sulla mia mano” del 2013.
Ma è soprattutto per Gaetano Curreri e gli Stadio che continuerà, dopo il grande successo di “Chiedi chi erano i Beatles”, a scrivere testi di canzoni. Hanno inciso brani con suoi testi Mina, Paola Turci, Claudio Lolli, Angela Baraldi, Francesco De Gregori, Fabrizio Moro.
È capitato di recente: ero in macchina e per caso alla radio ho ascoltato “Millemiglia”, una canzone che avevo fatto nel 1976 con Roberto Roversi, il poeta che ha segnato la svolta della mia vita professionale. Ho pianto.
L’incontro con Roversi è stato una specie d’investitura.
Ancora di più: è stata veramente una circostanza astrochimica, nel senso che l’amore per questa persona così insopportabile per il suo metodo di lavoro - mi ha fatto diventare più pazzo lui di mia madre quando mi proibiva di uscire la sera - mi ha insegnato delle cose ininsegnabili.
Per partenogenesi, per osmosi, tirandomi da lontano delle freccine con la cerbottana, mi ha fatto capire cose che non avrei mai capito nè a scuola nè da solo nè andando tre volte sul monte Sinai.
Ho capito soprattutto l’organizzazione del pensiero nella canzone, la parola, il segno, la forza e soprattutto la pietà per tutti quelli che devono ascoltare le tue canzoni o leggere i tuoi libri.
La vera pietà, l’amore. Amore e pietà sono la stessa cosa. La partecipazione emotiva di una frase che ti piace, che scrivi e che dai alla gente quando la canti, quando questo accade hai fatto centro non tanto sul piano del mercato, ma sul piano di te stesso, perchè diventi un altro, ti commuovi anche tu.
Del resto non sono pochi i casi della mia storia in cui, finito un testo, mi è venuto da piangere.
Lucio Dalla
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